• 30 Luglio 2015

La Chiesa che verrà giornata conclusiva del Simposio (30 luglio)

Seminario metodologico. Roma, 28-30 luglio 2015

di Clara Aiosa

La giornata conclusiva del Simposio (30 luglio) è stata dedicata a una tema che, apparentemente, esula dalla tematica generale. In realtà, la lezione-laboratoriale del prof. Nicola Alberto De Caro dell’Università di Padova, coadiuvato dalla professoressa Paula Benevene, della Lumsa di Roma, su Come funzionano le istituzioni, ha offerto uno squarcio interessante sulle dinamiche che fondano al positivo e al negativo la vita delle istituzioni e in certa misura, anche quelle ecclesiali.
Il primo step della relazione ha inteso far prendere coscienza della molteplicità di modelli e azioni per l’organizzazione positiva delle istituzioni, privilegiando dinamiche umane e organizzative molto spesso date per scontate o, ingenuamente eluse, ritenendole secondarie rispetto alla vita dei soggetti che in quelle istituzioni vivono e le dirigono.
Dopo aver sottoposto ai partecipanti un questionario, la relazione del prof. Nicola Alberto De Caro, ha privilegiato alcune tematiche, che sintetizziamo, essendo impossibile rendere in modo analitico quanto è stato proposto. Diversi i temi toccati: la promozione di un comportamento positivo a tutti i livelli; sotto questa prospettiva l’attenzione è stata focalizzata su alcuni obiettivi fondamentali: la minimizzazione dello stress, come obiettivo di tutte le organizzazioni, all’interno di un progetto integrato in cui tutti i soggetti sono coinvolti. Ciò che è emerso è che generalmente si riceve una formazione troppo limitata circa la gestione dello stress e delle emozioni, con il risultato che spesso si pensa che la gestione dello stress sia un ulteriore obbligo che si somma ai compiti e alle responsabilità, già gravosi, e non piuttosto il fondamento stesso del benessere dei soggetti e delle stesse istituzioni.
In tal senso sono stati anche distinti ruoli e responsabilità, a livello personale e a livello organizzativo. A livello personale: causando o prevenendo lo stress con il proprio comportamento; incrementando o riducendo l’impatto dell’ambiente di lavoro. A livello organizzativo: impegnandosi per ridurre lo stress attraverso la valutazione del rischio e sostenendo l’implementazione di interventi per la gestione dello stress. Resta comunque un dato: la gestione dello stress è una provocazione che non può prescindere dall’osservazione corretta della realtà. Infatti, con il tasso e la rapidità di cambiamento che sta investendo le organizzazioni moderne, i compiti lavorativi si stanno moltiplicando e complicando; ad essi si associa una crescente “pressione” per cui chiedere di partecipare a un’esperienza di formazione sullo stress può diventare causa di stress. Senza dire poi di una certa resistenza a farsi carico in prima persona della gestione dello stress entro il proprio gruppo; tale compito, infatti, tende a essere percepito come distinto e scollegato dal vero lavoro da fare. Per questo è necessario che buoni manager e buoni collaboratori siano anche buoni gestori dello stress.
A ulteriore conferma di quanto delineato, il relatore ha offerto alcuni modelli scientifici che le ricerche, tra cui quelle condotte da Donaldson e Feilder, nel 2009, hanno individuato. Sono stati presentati quattro temi generali di comportamento, o macro-categorie, che sono risultati importanti al fine di minimizzare lo stress all’interno di qualsiasi team di lavoro. Essi possono fornire un riferimento sia per i manager sia per i collaboratori e colleghi entro il gruppo di lavoro, mediante quattro categorie: 1) rispettoso e responsabile; 2) gestire e comunicare il lavoro esistente e quello futuro; 3) comprensione e gestione delle situazioni difficili; 4) gestione del singolo all’interno del team. Per favorire l’applicabilità concreta di ciascuno dei quattro temi è stato elaborato un quadro articolato in quattro competenze e dodici categorie.
Il comportamento rispettoso e responsabile: gestire le emozioni e avere integraità, presuppone una competenza gestionale. I comportamenti inclusi in questa competenza, si dividono in tre categorie: integrità, gestione delle emozioni; approccio rispettoso. L’integrità, competenza che riguarda sopratutto i dirigenti, può essere così declinata: assicurarsi di avere tutte le informazioni disponibili e riconoscere quale non lo è; considerare l’impatto che l’informazione negativa avrà sul team e sulle persone e le conseguenze a lungo termine; comunicare cosa pensano i membri del team a proposito dell’informazione e quindi assumersi la responsabilità per le informazioni, senza scaricarla su altri; esigere, permettere e accettare la critica; lavorare per sostenere il team e le persone a seguito di questa informazione nel lungo periodo. La gestione delle emozioni: alcune recenti ricerche hanno mostrato come lo stato d’animo del leader e dei collaboratori possa essere “contagioso”; oltre ad influenzare lo stato d’animo e il benessere personale e quello dei collaboratori, si sono notate ricadute importanti a livello di prestazioni; a volte emozioni e stati d’animo negativi possono culminare in evidenti e preoccupanti scoppi d’ira, o addirittura scivolare nella categoria dell’abuso (uso della minaccia, utilizzo di nomi spregiativi, umiliazioni e mobbing…). L’approccio rispettoso: i risultati di alcune ricerche indicano che i comportamenti positivi più importanti sono: a) elogiare un buon lavoro; b) riconoscere il lavoro del collaboratore/del collega; c) mettere in atto una cultura organizzativa basata sull’assenza di colpa; d) trasmettere il feedback positivo del team alla direzione superiore; e) dimostrare rispetto dei bisogni del dipendente in relazione al bilanciamento vita-lavoro.
Gestire e comunicare il lavoro esistente e quello futuro, presuppone una competenza gestionale. I comportamenti inclusi in questa competenza, si dividono in tre categorie: gestione proattiva del lavoro; problem solving; partecipazione/empowerment. La gestione proattiva del lavoro può essere declinata in alcuni comportamenti: anticipare la situazione futura per pianificare il proprio lavoro, piuttosto che lavorare in modo ‘reattivo’, ossia solo se ‘sollecitati dall’esterno’; i modelli di una buona leadership includono comportamenti quali: chiarire la direzione da intraprendere per il singolo e per il gruppo, le priorità e le finalità. Bisogna tuttavia tenere presente che anche l’eccesso di pianificazione e di controllo possono essere deleteri: se un piano deve esserci, esso deve anche avere un po’ di margine per consentire l’adattamento alla situazione e agli eventi, senza imbrigliare troppo le persone! Perché questa competenza sia concretamente praticabile e produca risultati effettivi occorre: comunicare con chiarezza gli obiettivi ai collaboratori; sviluppare piani di azione; monitorare continuamente il carico di lavoro del team; incoraggiare il team a rivedere l’organizzazione del proprio lavoro. Ovviamente non si possono trascurare gli ostacoli più frequenti che si possono incontrare. Infatti, la “pressione di lavoro”, le “richieste quotidiane del ruolo” oppure “la loro personalità” sono gli ostacoli che più frequentemente impediscono di tradurre l’intenzione in pratica. A ciò si aggiunge anche un ulteriore problema: non sempre i manager sono esattamente a conoscenza di quanto lavoro sia già stato assegnato e svolto dai propri collaboratori.
La partecipazione/empowerment presuppone delle regole, sopratutto per le riunioni del team. Ne sono state indicate alcune: fissare in agenda un orario per le riunioni del team e attenervisi fedelmente: il tempo è prezioso e nessuno dovrebbe organizzare altre riunioni in contemporanea o prendere permessi; costruire uno spazio adeguato e un momento per discutere e condividere in riunione: non parla solo il leader ma deve esserci spazio per tutti i membri; dimostrare che le opinioni dei collaboratori sono ascoltate e messe in pratica: quando il capo appoggia un’idea che non viene da lui/lei, in seguito la deve mettere in pratica per non generare delusione e, successivamente, astenersi ragionevolmente da ulteriori proposte; comunicare che tutte le idee saranno ascoltate senza pregiudizio: il metodo più veloce per scoraggiare sul nascere la partecipazione a una riunione è proprio quello di esprimere giudizi sulle opinioni espresse e sui punti di vista emersi; coinvolgere tutto il team a prescindere dalla gerarchia o dall’esperienza: ogni contributo è prezioso per la riunione.
Parlando di riunione, non si può ignorare che si fa sempre riferimento a una realtà complessa. Durante una riunione, infatti, il gruppo è chiamato a recepire le indicazioni e gli input proposti dall’alto affinché si trasformino in azioni operative dal basso, tramite l’agire coordinato dei singoli, seguendo i piani gerarchici e le funzioni aziendali previste. In questo senso le difficoltà scaturiscono quando ai partecipanti è richiesto di trovare un accordo comune su una questione controversa che può generare un conflitto, che coinvolge interessi personali e che mette a confronto modi di pensare divergenti. A tal fine, la prima cosa da fare è delimitare i tempi della riunione, attivando la funzione del coinvolgimento mediante tre utili suggerimenti, per incoraggiare un’ampia partecipazione: fare in modo che, in ogni riunione, ci sia una presentazione da parte di differenti aree del team, così tutti possono avere un’idea dì ciò che gli altri stanno facendo; dividere il team in gruppi più piccoli (3-4 persone), in modo da favorire il brainstorming in ogni sottogruppo. Il brainstorming, inoltre, favorisce la conoscenza e quindi il sentirsi a proprio agio; far ruotare la presidenza e la stesura dei verbali, indipendentemente dalla gerarchia; considerare la possibilità di tenere le riunioni del team fuori sede e in modo meno formale; potenziare il comportamento di gestione basato sull’empowerment.
Riguardo al problem solving, si rende necessaria una competenza gestionale che rimanda a comportamenti che, in situazioni normali, non dovrebbero essere “quotidiani”, quanto piuttosto assunti in situazioni difficili. Tali comportamenti possono essere così sintetizzati: gestire il conflitto; usare le risorse organizzative; assumersi la responsabilità nel risolvere i conflitti.
Concludendo la sua relazione il prof. De Caro, si è soffermato sull’importanza di una competenza che si riferisce specificatamente al lato umano della gestione quotidiana del personale. I comportanti che ne derivano sono: “accessibile personalmente”; “socievole”; “coinvolgimento empatico”.
Molto apprezzata dai partecipanti, la relazione del prof. De Caro ha sicuramente aperto piste di riflessione. Il Simposio, aveva un carattere metodologico e lo ha mantenuto. Le relazioni, tutte e ciascuna, hanno semplicemente irrobustito, dilatandolo, il nuovo percorso di ricerca, depositando nei partecipanti la consapevolezza della complessità del tema della riforma della e nella chiesa, un percorso che costituirà sicuramente una ulteriore possibilità di servizio alla Chiesa da parte della Sirt. L’assemblea dei soci, appuntamento fisso all’interno dei simposi annuali, ha – come sempre – testimoniato l’impronta fraterna della vita associativa, la gratuità delle relazioni unitamente alla franchezza del pensiero di tutti e di ciascuno. Al comitato scientifico, l’assemblea ha demandato il compito di organizzare il secondo simposio metodologico del prossimo anno.

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