di Clara Aiosa
Mons. Domenico Mogavero, avverte che il suo intervento si colloca non sul versante accademico, bensì su quello del discernimento episcopale, nel tentativo di offrire un rapporto di mediazione tra teologia e magistero. Due le indicazioni iniziali: la scelta di un testo di riferimento individuato nell’Epistola ad Florentium di Cipriano di Cartagine e la scelta della categoria di modello, che lo ha portato a privilegiare non tanto la tensione dinamica del paradigma, caratterizzata sotto il profilo della ricerca del dover essere, quanto piuttosto la vivacità storica del vissuto, intesa come modus vivendi. In questa prospettiva, ha delineato anzitutto il modello di Chiesa, prospettato come vissuto ecclesiale, e successivamente ha riportato all’interno di tale modello di Chiesa talune istituzioni ecclesiali. L’intervento di Mons. Mogavero è stato articolato in due punti: 1. Modello come modus vivendi: singolare relazione tra Chiesa e vescovo; 2. Istituzioni ed epifania del carisma. A fare da guida al primo punto della relazione il testo di Cipriano di Cartagine «Unde scire debes episcopum in ecclesia esse et ecclesiam in episcopo, et si quis cum episcopo non sit in ecclesia non esse» dove si esprime la sostanziale imprescindibilità totale dei due soggetti del rapporto, imprescindibilità riconducibile a definizione di identità nel senso che non c’è Chiesa senza vescovo e non c’è vescovo senza Chiesa. Il mistero della Chiesa si incarna e vive nelle Chiese particolari. Ogni chiesa particolare è un unicum in sé e nel suo divenire; il fondamento di tale modus vivendi è la singolare relazione tra Chiesa particolare e vescovo, che non è da interpretare nel senso di una preponderanza del vescovo rispetto alla Chiesa, o di pensare il vescovo al di sopra della Chiesa o in posizione dialettica rispetto ad essa. Il ministero episcopale, invece, pone il vescovo di fronte alla sua Chiesa in una condizione di reciproca contemplazione, accoglienza e dono; il tutto nella logica di esclusività propria della nuzialità.
Se si da un rapporto nuziale tra vescovo e chiesa, si può declinare il ministero episcopale all’interno di un diversificato impianto relazionale. L’unico episcopus presiede la sua Chiesa come vigilante nei confronti della fraternità, come capo del popolo, come pastore del gregge, come reggitore della comunità, come sovrintendente in rapporto a Cristo, come sacerdote di Dio, in una dinamica sinodale. Questa relazione trova conferma nel linguaggio dei segni liturgici, in particolare, nei riti esplicativi dell’ordinazione episcopale. Nel secondo punto della relazione Mons. Mogavero ha fatto interagire le istituzioni ecclesiali fondamentali e il carisma che esse sono chiamate a sussidiare nei tre livelli: Chiesa particolare, comunione tra le Chiese, collegialità e primato. Relativamente alla chiesa particolare sono stati considerate alcune realtà: la parrocchia, il seminario, il consiglio presbiterale e l’assemblea del clero, il collegio dei consultori, il consiglio per gli affari economici e, per finire, il consiglio pastorale diocesano. Passando al livello della comunione tra le Chiese, si sono prese in considerazione le province ecclesiastiche, presiedute da un metropolita e le regioni ecclesiastiche. L’ultimo anello della catena, riguardante il livello della collegialità episcopale e del primato pontificio, trova le sue espressioni istituzionali nel concilio ecumenico, e nel sinodo dei vescovi, organo rappresentativo dell’episcopato. In conclusione, Mons. Mogavero, ha affermato che le considerazioni proposte lasciano aperto il tema, nel senso che la lettura delle istituzioni canoniche passate in rassegna costituiscono i diversi tasselli che danno forma storica al mistero della Chiesa. La prospettiva che ne emerge è quella di una Chiesa pensata come comunione che, originata dal mistero di Dio e illuminata dal mistero del Verbo incarnato, vive nello Spirito attorno ai soggetti (persone e istituzioni) che storicamente visibilizzano tale comunione come comunione organica, a partire dalla Chiesa particolare.