Nel suo intervento – non programmato – la prof.ssa Clara Aiosa, giocando sulla metafora del “sogno”, ha suggerito una riflessione sull’articolazione della chiesa locale, riferendosi in particolare alla realtà della parrocchia, sulla base del fatto che essa rappresenta in certo modo la chiesa visibile stabilita su tutta la terra, secondo quanto affermato in Sacrosancum concilium 42. Una lettura del senso della parrocchia in rapporto alla complessità contemporanea e in fedeltà all’ecclesiologia conciliare, così come disegnata nelle costituzioni Lumen gentium e Gaudium et spes, Punto di partenza del “sogno” è stato il recupero della semantica biblica del termine parrocchia che strappa la realtà della parrocchia alla concezione che si è stabilizzata e fossilizzata nel tempo e indica, invece, un’identità della parrocdinamica e costitutivamente aperta, secondo un paradigma essenzialmente “esodiale”.
Altro testo guida della relazione è stato quello della Christifideles laici n. 27 in cui la realtà della parrocchia viene immessa nel cuore dell’umano. Qui, infatti, viene detto con felice espressione che la parrocchia è «la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie», che «vive e opera profondamente inserita nella società umana e intimamente solidale con le sue aspirazioni e i suoi drammi», con ciò diventando «la casa aperta a tutti e al servizio di tutti». In sintesi la prof.ssa Aiosa ha indicato cinque suggestioni: 1) La parrocchia-chiesa “fontana del villaggio”: presenza del mistero di Cristo nel villaggio globale. Esclusi anacronistici separatismi e chiusure da una lato, come rischiose confusioni e appiattimenti dall’altro, la via che la parrocchia unicamente potrà percorrere non potrà essere che quella della completa solidarietà con gli uomini, con la storia, con il luogo, con la piazza; e tuttavia questa completa solidarietà avverrà nella consapevole riscoperta conciliare della sua figura costitutivamente esodiale. Essa cioè sarà pienamente cittadina nel mondo e pienamente forestiera; prossima, fino all’identificazione, al mondo che ama eppure totalmente pellegrina e scalza; a casa propria, nel luogo dove essa mostra il volto del Signore ai fratelli, eppure ospite sempre pronta a ripartire; totalmente china e assorbita nel servizio ai fratelli eppure con lo sguardo rivolto in avanti verso il Regno. 2) Dall’uomo flessibile alla parrocchia flessibile, secondo il paradigma della “flessibilità” introdotto da Richard Sennet. Parrocchie “flessibili”, capaci di accogliere – senza disprezzarla – la debolezza umana e la fragilità esistenziale, riattualizzando nell’oggi lo stile di Cristo il quale ha scelto ciò che nel mondo è debole (cf 1 Cor 1, 27), «battezzando l’umanesimo attuale con tutti i suoi quesiti e le sue aspirazioni», sgombrando il campo da ogni forma d’interesse e d’ambizione, da ogni forma di controllo e di potere, di supponenza e di arbitrio, da ogni forma mistificata di proselitismo e di fondamentalismo. 3)
Testimoni della Weltanschauung cattolica: la “prossimità” ecclesiale, mutuando un testo del 1923 di Romano Guardini. È in gioco, una conversione pastorale delle parrocchie, convocate a ripensare il senso stesso del loro essere e del loro agire nella storia ed essere perciò “testimonianza” dello stesso sguardo con cui Dio guarda il mondo e lo ama (cf Mc 10, 21), testimoniare la gratuità del vangelo, riconoscere che il Risorto, creduto vivo e presente nel mondo come unico Salvatore e Ricapitolatore, ne abbraccia ancora le modalità concrete, ne tocca ancora la vita. È perciò la Sua presenza di lievito fecondo nella storia umana che occorre testimoniare, calando teneramente la Sua misericordia nelle ferite dell’uomo e intrecciando il Suo amore nelle fibre dell’umanità, tutta intera, nell’umanità “a perdere”anzitutto, ovvero nell’umanità ancora indigente, smarrita, nella quale il Signore ha messo e perso la faccia. 4) Perché scoppi la risurrezione: come il lievito nella pasta… Stavolta il testo guida è stato quello di Olivier Clément: «Il tessuto dell’esistenza – «non è semplicemente stropicciato – al che si potrebbe rimediare con il ferro da stiro ben caldo delle nostre ricette umane – ma è anche strappato, e da questo strappo viene il nulla, il nichilismo. La nostra civiltà è circondata dal nulla. Ecco perché penso che il nichilismo attuale sia il luogo provvidenziale dove si deve far «scoppiare» l’annuncio della risurrezione». Si tratta di non disdegnare, come lo è stato per il Cristo, di scendere negli abissi, di percorrere le cavità umane, di calpestare i luoghi tortuosi dell’umanità, di costruire chiese-comunità sul terreno “scosceso” della società complessa, in altri termini, di valutare il mondo, ancorché frammentato ed effimero, come “luogo” teologico, entro cui cogliere realmente la presenza della luce ineffabile del Risorto, spazio antropologico e struttura di “mediazione” della stessa Rivelazione cristiana, secondo un’ermeneutica pasquale. 5) Abitare la complessità: una kénosi per verificare il senso dell’essere chiesa. Le provocazioni della società complessa sono tante, e minacciano talvolta la stessa credibilità e la stesse certezze delle comunità ecclesiali.
Che fare dunque? Accontentarsi di una presenza “accomodante” e “istituzionalmente statica” o osare nuove vie? Fermarsi sulle posizioni tradizionali o seguire la convinzione, già indicata da Paolo VI, secondo cui «alla mobilità del mondo moderno deve corrispondere la mobilità pastorale della Chiesa»? Abitare la complessità o lasciarsi sfuggire questo kair?s? Chiudersi nella propria autosufficienza o entrare dentro a questo kair?s inedito, da esplorare e su cui posare lo sguardo? Far finta di niente o assumere un atteggiamento kenotico, entrando dentro la storia e le persone, intercettando domande e bisogni? Soffermarsi e piantarsi stabilmente su strutture immobili, immodificabili o scegliere la via esodiale, la figura del cammino umile e penetrante nella storia e nei solchi profondi della vita umana e culturale? Quali altre alternative?