• 20 Aprile 2013

Laiche/Laici e trasmissione della fede (20 Aprile 2013)

Cronaca

di Clara Aiosa

20 aprile

La sessione mattutina della seconda giornata del Simposio, presieduta dalla prof.ssa Marinella Perroni e moderata dal prof. Silvano Maggiani, ha previsto due relazioni, rispettivamente affidate al prof. Carmelo Dotolo, della Pontificia Università Urbaniana di Roma e alla prof.ssa Adriana Valerio della Università Federico II di Napoli.
Aprendo i lavori la prof.ssa Perroni ha ripreso il tema della cesura del 1968, ricordato dalla prof.ssa Cettina Militello, in apertura del Simposio, anticipandola già a partire dal 1915. L’opinione della Perroni, guardando in particolare alla situazione delle donne, è che proprio esse non hanno colpa di una trasmissione interrotta. Anzi, secondo la prof. ssa Perroni, una trasmissione interrotta è tradizione anch’essa, rappresenta per certi aspetti un momento di costitutività che occorre assumere.

Anche il moderatore, prof. Silvano Maggiani, ha voluto dare il suo contributo alla riflessione ricordando che proprio quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della Pacem in terris di Giovanni XXIII, le cui intuizioni soprattutto in riferimento alla categoria dei “segni dei tempi” rappresenta a tutt’oggi un riferimento ancora fecondo per la teologia e per la vita della chiesa.

La prima relazione della mattinata, relativa alla svolta dottrinale del Vaticano II, è stata affrontata dal prof. Dotolo in maniera articolata e completa. Il percorso della relazione si è snodato attorno a due coordinate: a) l’evento del Vaticano II. Esso si presenta come spazio di una svolta che trova nella categoria dei “segni dei tempi” un concetto-chiave che innova la storia del cristianesimo e della riflessione teologica; b) gli indicatori di una svolta dottrinale che in alcuni focus tematici offre le premesse di un passaggio qualitativo nel metodo e nei contenuti teologici.
1) L’evento conciliare come indicazione di uno stile teologico teso a reinventare il cristianesimo.
– La caratteristica di evento dice che il Vaticano II è alla confluenza di un allargamento dell’esperienza credente nell’orizzonte delle attese di un modo diverso di essere Chiesa nel contesto culturale della Novecento.
– È vettore ermeneutico di una gestazione di un nuovo metodo teologico, dove il nuovo intende assumere la questione della crisi d’identità del cristianesimo, soprattutto nella sua capacità di essere qualificante l’esistenza individuale e comunitaria dei cristiani. Si tratta della provocazione della riflessione di M. D. Chenu che indica nella fine dell’era costantiniana un uscire dalla “preistoria”, una premessa per una differente relazione tra “civilizzazione” (edificazione del mondo) ed evangelizzazione.
– In tal senso, senza esasperare l’opposizione tra ermeneutica della discontinuità e della riforma, il Vaticano II ha aperto una crisi instauratrice nei processi di auto comprensione dell’identitaà ecclesiale e credente. A questo livello va compreso il valore di evento del Vaticano II come svolta dottrinale. Il vaticano II diviene paradigmatico perché risponde, o cerca di farlo, a domande che nascono dai processi culturali. In ciò il carattere di evento sta nella potenzialità della sua archetipicità ermeneutica ed euristica: ermeneutica, in quanto attitudine a porre in relazione dialogica teologia e cultura; euristica, perché in grado di porsi come modello inventivo dell’essere cristiani nei processi storici e sociali.
– Secondo la lettura di K. Rahner, la questione relativa alla cesura e/o inizio che rappresenta teologicamente il Vaticano II, consisterebbe nella capacità decisionale della realtà ecclesiale di operare un’interpretazione creativa della tradizione, scelta questa che esige un superamento della sola dimensione dottrinale della fede e del giuridismo dell’esperienza cristiana. Qui sta il nodo, nel senso che cogliere la portata della svolta teologica vuol dire leggere la faticosa transizione che la teologia ha dovuto realizzare da un punto di vista epistemologico.
Sulla base di tali indicazioni, e opinione condivisa che la novità sta nella categoria dei segni dei tempi, che indica la centralità metodologica del Vaticano II come aggiornamento e presa di coscienza della relazione costitutiva tra verità e storia.
2) La svolta dottrinale: alcuni indicatori
– Per cogliere la portata della svolta teologica, è utile tenere presente il legame tra storia sociale e storia concettuale, come suggerisce R. Koselleck. Ora, senza dubbio l’input concettuale decisivo si può rintracciare nella questione dell’essenza (Wesen) del cristianesimo, che vede l’esigenza di una tematizzazione delle specifico cristiano a fronte di alcune esasperazioni istituzionali e rituali che ne hanno congelato l’originaria freschezza.
L’emergenza di tale questione è relativa alla sorpresa della decadenza dell’idea di cristianità e del modello di una societas christiana.
Ciò ha avuto implicazioni sui ripensamento, non più procrastinabile, dell’identità della Chiesa nella sua relazione con la storia/mondo e nella adeguatezza dei percorsi teologici in grado di giustificare il senso della presenza del cristianesimo e la sua affidabilità progettuale. Il punto critico è dato dalla vicenda del modernismo. Verosimilmente, è a questo livello che si creano le premesse della svolta teologica (dottrinale), dal momento in cui si prendono le distanze dalla riduzione del cristianesimo a religione civile.
– L’assunzione metodologica della categoria dei “segni dei tempi”, esprime l’istanza di un ripensamento e aggiornamento della dottrina. Da questa angolatura, la connotazione di pastoralità diventa chiave ermeneutica e storica della verità cristiana, criterio che indica la necessità di verificare se l’accoglienza del messaggio sia dovuto o meno da un linguaggio culturalmente adeguato, in grado di acculturare il Vangelo e di relazionarlo alle problematiche dell’esistenza. Tale categoria ha saputo registrare lo sciame sismico di un movimento teologico che mette lentamente in crisi la costruzione di un sapere deduttivistico evidenziato dai movimenti di rinnovamento biblico, liturgico e catechetico. Al di là dei contenuti, quello che mi sembra caratterizzi tali movimenti è la questione pedagogico-educativa della comunicazione del messaggio cristiano. Vale a dire, con terminologia guardiniana, la capacità di collaborare all’elaborazione di una Weltanschauung cristiana, che crei il quadro orientativo per le scelte dell’esistenza.
– La riflessione teologica sembra puntare l’attenzione sulla realtà umana quale categoria interpretativa per la riflessione della fede. Qui sta la grande svolta: pur nelle differenze tra la lettura protestante e quella cattolica, si tratta di comprendere come il messaggio cristiano possa intercettare la domanda radicale che è l’uomo, per il quale il kerygma rappresenta un discorso sul suo presente, provocazione ad una decisione che impegna l’esistenza globalmente. In questo orizzonte, l’attenzione alla dimensione cristologica dell’esperienza religiosa porta ad una considerazione indicativa di un processo di trasformazione teologica: il cristianesimo propone un’idea adulta di fede, per la quale l’uomo deve essere consapevole della sua autonomia etsi Deus non daretur.
Appaiono determinanti alcuni itinerari teologici
a) La svolta antropologica e l’interpretazione esistenziale della Bibbia. La svolta antropologica ha rappresentato una linea prospettica decisiva, anche perché ha saputo interpretare la necessità di uno stile di pensiero capace di relazionarsi con la crescita dei processi di emancipazione umana. Al contempo, i cambiamenti in atto nella comprensione della realtà sociale, culturale, scientifica, non permettevano più un approccio ingenuo alla Scrittura, ma mettevano in gioco l’esigenza di un’interpretazione biblica in grado di connettere comprensione dell’esistenza e interpretazione del mondo e della vita.
b) L’opinione condivisa è che la teologia del laicato nella riflessione pre-conciliare porta con sé alcune aporie. Appare chiaro che la questione attorno al problema laici-laicità, nel mettere in risalto la questione antropologica come chiave di lettura per un ripensamento ecclesiologico, punta l’attenzione sui senso dell’essere-chiesa nell’orizzonte storico-mondano e nella sua autonomia relazionale. Ma, il riferimento al laicato e al suo impegno, porta con sé, all’interno della riflessione teologica, il tema della laicità come spazio della mediazione storico-culturale entro il quale si determina la stessa missione ecclesiale. La laicità è «rivendicazione dei caratteri specifici della storia per rapporto al vangelo», è zona di confine nella quale l’identità cristiana vive in una relazione con altre visioni del mondo. Ma, è anche elemento strutturale per la chiesa.
c) Una teologia del mondo e della storia della salvezza (Heilsgeschichte). Non meraviglia, di conseguenza, che la riflessione teologica metta a tema una particolare teologia del mondo nella sua globalità, un mondo che mostra d’essere adulto, capace di realizzare progetti di liberazione
dell’uomo, senza necessariamente ricorrere all’ipotesi Dio (o, almeno, ad una certa immagine di Dio). La teologia assume, in tale ambito, il processo di secolarizzazione come dimensione propria del messaggio cristiano, sulla scorta della novità dell’incarnazione. Tale processo non nega l’esperienza religiosa, ma la situa tra Dio e l’uomo, responsabilizzando quest’ultimo nei riguardi della costruzione di una cultura capace di realizzare i valori della libertà, della tolleranza, della dignità di ogni persona. La stessa rilettura dell’escatologia si muove entro tale prospettiva: la storia è aperta al suo futuro, cristianamente simboleggiato nel regno di Dio; un futuro che si esprime
nella promessa di una liberazione e salvezza già presente nell’evento pasquale. La riflessione teologica e pastorale evidenzieranno con insistenza la necessita di ripartire dagli ultimi, dagli oppressi, da coloro che non hanno voce.
d) Ma ciò che appare più prezioso nella svolta dottrinale è il rinnovamento del metodo teologico, incapace di esprimersi oramai attraverso il modello manualistico. Il modello teologico, soprattutto dogmatico, sperimentava sempre più la scissione tra una parte storico-positiva e un’altra scolastico-speculativa, cui si aggiunse, già a partire dal secolo XVII, un carattere specificamente dogmatico-ecclesiale. Il cambio metodologico esigeva il superamento del dualismo tra metodo storico e metodo speculativo, tra teologia essenziale ed esistenziale, per il fatto che l’oggetto formale del compito teologico è, secondo J.S. Drey, trasmissione della fede ad un continuo presente.
«Se si passa allora dalla preparazione e dallo svolgimento del concilio alla questione dell’accoglienza di cui è stato oggetto, io vorrei enunciare questa tesi: la ricezione di questo concilio definito “più pastorale che teologico” è stata in realtà più effettiva e anche migliore nel mondo della teologia piuttosto che in quelle delle realtà pastorali» G. Dore, Il Vaticano II oggi, in Concilium 41 (2005) 182).

Adriana Valerio, a cui è stato affidato il tema Protagoniste/i della stagione conciliare, ha posto l’attenzione su alcune figure, ancora poco studiate che hanno influito sul Concilio sia attraverso il loro impegno avvenuto negli anni precedenti il Vaticano II sia con la partecipazione attiva che ha fiancheggiato i lavori delle commissioni. La relatrice si è riferita, in particolare, alle figure di Antonietta Giacomelli che insieme ad altre figure di spicco del mondo cattolico, legate al cosidetto modernismo, ha anticipato le problematiche inerenti la riforma liturgica e la nuova identità della chiesa riformata e dell’economista americana Barbara Ward che, chiamata come esperta al concilio, ha posto sul tappeto le grandi questioni relative all’economia mondiale e ai molteplici rapporti tra giustizia e povertà.
Le due donne, secondo la prof.ssa Valerio, sono donne che non parlano di donne. La Giacomelli, nipote di Rosmini, fu condannata per l’accusa di modernismo ed etichettata con espressioni sprezzanti: “teologhessa”, “amazzona”, “signora isterica”, “povera donna”. Per la Giacomelli grande importanza aveva la liturgia che però lei vedeva lontana dalla vita del popolo cristiano. Per questo si è adoperata per il recupero della Bibbia, la comprensione della liturgia e l’impegno nel mondo, la lotta contro la falsa pietà.
Barbara Ward, grande economista del ‘900, figlia di un quacchero e di una cattolica, è stata chiamata al concilio come esperta, per parlare di povertà. Nonostante invitata, le è stato negato in concilio di parlare, in quanto donna. Il suo testo, infatti, fu letto da un amico. Portatrice dell’utopia femminile della pace e della questione dei diritti umani, oltre che feconda teorica del rapporto tra economia e diritti e della modalità femminile di rapportarsi alla comunicazione di una fede capace di guardare al futuro, Barbara Ward ha partecipato all’elaborazione della Popolorum progressio di Paolo VI.
Alle due relazioni i partecipanti hanno risposto con un dibattito vivace e assai produttivo.

La sessione pomeridiana prevedeva la relazione del prof. Gianfranco Brunelli, Direttore del Regno, impossibilitato a partecipare per un malore improvviso, perciò i lavori sono proseguiti con le comunicazioni.

Il presidente, prof. Crispino Valenziano, ha voluto condividere con i partecipanti al Simposio l’omelia di Papa Francesco, del 16 aprile a Santa Marta, sul concilio Vaticano II e sulla necessità che la chiesa, anche in ordine alla problematica relativa alla trasmissione della fede, sia capace di essere docile allo Spirito per essere fedele messaggera del messaggio di Cristo alle genti: «Lo Spirito Santo spinge le persone e la Chiesa stessa ad andare avanti ma noi opponiamo resistenza e non vogliamo cambiare…Santo Stefano prima di essere lapidato annuncia la Risurrezione di Cristo risorto, ammonendo i presenti con parole forti: “Testardi! Voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo”. Stefano ricorda quanti hanno perseguitato i profeti e dopo averli uccisi gli hanno costruito “una bella tomba” e solo dopo li hanno venerati. Anche Gesù rimprovera i discepoli di Emmaus: Stolti e lenti di cuore, a credere a tutto quello che hanno annunciato i profeti! Sempre, anche tra noi c’è quella resistenza allo Spirito Santo. Per dirlo chiaramente: lo Spirito Santo ci dà fastidio. Perché ci muove, ci fa camminare, spinge la Chiesa ad andare avanti. E noi siamo come Pietro nella Trasfigurazione: “Ah, che bello stare così, tutti insieme!” … ma che non ci dia fastidio. Vogliamo che lo Spirito Santo si assopisca … vogliamo addomesticare lo Spirito Santo. E quello non va. Perché Lui è Dio e Lui è quel vento che va e viene e tu non sai da dove. È la forza di Dio, è quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti. Ma: andare avanti! E questo da fastidio. La comodità è più bella. Oggi sembra che “siamo tutti contenti” per la presenza dello Spirito Santo, ma “non è vero. Questa tentazione ancora è di oggi. Un solo esempio: pensiamo al Concilio. Il Concilio è stato un’opera bella dello Spirito Santo. Pensate a Papa Giovanni: sembrava un parroco buono e lui è stato obbediente allo Spirito Santo e ha fatto quello. Ma dopo 50 anni, abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio? No. Festeggiamo questo anniversario, facciamo un monumento, ma che non dia fastidio. Non vogliamo cambiare. Di più: ci sono voci che vogliono andare indietro. Questo si chiama essere testardi, questo si chiama voler addomesticare lo Spirito Santo, questo si chiama diventare stolti e lenti di cuore. Succede lo stesso anche nella nostra vita personale: infatti, lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica, ma noi resistiamo. Non bisogna opporre resistenza allo Spirito Santo. È lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio! Non opporre resistenza allo Spirito Santo: è questa la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore: la docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi e ci fa andare avanti nella strada della santità, quella santità tanto bella della Chiesa. La grazia della docilità allo Spirito Santo. Così sia».

Il moderatore prof. Fabrizio Bosin, ha voluto, pure lui, prima di dare la parola alle relatrici delle comunicazioni, proporre alla riflessione dei partecipanti una riflessione di Rahner dal titolo La fede come coraggio, conferenza tenuta il 19 settembre 1975 a Berna, apparsa in italiano in Nuovi saggi VII, Paoline, Roma 1981, 309-330: «la fede cristiana, contrariamente all’impressione corrente, è in fondo una cosa molto semplice (e solo per questo difficile), perche è la concretezza di qualcosa che chiamiamo “coraggio”, a patto che concepiamo tale “coraggio” in tutta la sua radicalità in rapporto alla totalità dell’esistenza umana… La fede ultima nel Gesù risorto, è a sua volta per il cristiano la concretezza del suo ultimo coraggio esistentivo. Per questo non abbiamo più bisogno di parlare qui di tutti questi molteplici sviluppi della fede cristiana. Può succedere che il singolo cristiano, date le possibilità e le situazioni concrete della sua vita, non riesca più a dedurre e a collegare vitalmente per sé determinate proposizioni dogmatiche con il centro della sua fede in Gesù risorto, nonché con il proprio coraggio esistentivo ultimo. In tal caso egli non deve negare tali proposizioni singole, poiché non ne ha né il diritto, né il dovere di fronte alla fede di tutta la cristianità, però le può lasciare con pazienza e in modo provvisorio da parte e confidare – per l’ulteriore sviluppo della propria fede vissuta in maniera vitale in direzione del complesso esplicito del1a fede della chiesa – semplicemente nell’ulteriore sviluppo della propria coscienza di fede, verso cui e in linea di principio aperto. Non è affatto sicuro che possediamo un coraggio ultimo e totale nella nostra esistenza, destinato a trionfare in modo definitivo, perché esso e sempre anche un atto della nostra liberta nel profondo della nostra vita. Uno può anche rifiutarsi di compierlo, per quanto affronti con freddezza o gagliardia le mille particolarità e i mille compiti singoli delle proprie giornate. Ove però esiste questo coraggio di sperare in modo radicale nella felice riuscita dell’esistenza una e totale – nella felice riuscita che è ancora una volta grazia, che è fondata nella libertà imprevedibile di un altro, cioè di Dio, e viene sperata precisamente così nel coraggio ultimo dell’esistenza – , là esiste e si vive già liberamente la fede in senso cristiano, anche se solo in modo germinale. E dove un uomo, guardando a Gesù crocifisso e risorto, coglie in maniera storicamente tangibile la risposta – che convalida la sua ultima speranza vitale – alla domanda posta dal proprio coraggio pieno di speranza, là esiste già la fede cristiana nella sua forma esplicita e autentica. Questo coraggio umano ed espressamente cristiano della speranza incondizionata e difficile e con temporaneamente facile»

A turno, poi, si sono alternate nelle comunicazioni, Cristina Simonelli Testimoniare il vangelo non è privilegio di alcuno/aAnna Gioeni Corresponsabilità e trasmissione della fedeCloe Taddei Ferretti Sulla preghieraFulvio FerrarioLaici e laiche e trasmissione della fede nelle chiese della RiformaRoberto BertacchiniTeologia del femminino ed efficacia pastoraleSandro Bocchin La trasmissione della fede alla luce della koinonia S. Giovanni Battista. È impossibile sintetizzare quanto emerso dalle sei comunicazioni; ognuna di essa, da prospettive diverse, ha offerto senza dubbio apporti nuovi al tema oggetto del Simposio.

La relazione mancata del prof. Brunelli, dal titolo Soggettualità laicali e strategie pastorali del dopo concilio è stata in parte compensata dalla sintesi che la prof.Cettina Militello ha tracciato ai partecipanti, a chiusura dei lavori simposiali. Dopo i ringraziamenti a tutte e a tutti i partecipanti, al Marianum, al preside, alla segreteria, a Francesca e Maria Luisa Scelfo, sorelle di Costanza, che non fanno mai mancare la loro discreta presenza, la prof. Militello si è soffermata su alcuni nodi cruciali. In primo luogo la necessità di riscoprire la soggettualità plurima del laicato e di tutto il popolo di Dio in ordine alla trasmissione della fede oggi. È necessario un nuovo modello di servizio, una qualità laicale come profezia della chiesa intera. Occorre riscoprire anche il mutuo rapporto tra trasmissione e tradizione, aprirsi a una dinamica della trasmissione che sia innanzitutto dinamica di comunicazione. La trasmissione della fede non è data una volta per tutte, essa si accompagna alla crescita personale e comunitaria. Trasmettere la fede significa testimoniare l’incontro in una catena di testimoni. Occorre ripartire dal concilio Vaticano II, da questo evento fondamentale per la chiesa, occorre ripartire dai suoi documenti, in particolare dalla Lumen gentium e dalla Dei verbum, vera perla del concilio. Ritornando sull’idea di cesura, la prof.ssa Militello ha ribadito l’urgenza di lasciarsi interpellare da essa, per farsi carico delle sfide che la trasmissione della fede oggi esige.

Gli Atti del Simposio, daranno conto certamente di quanto è emerso nei due giorni di studio e di riflessione e, sicuramente, come è successo per gli altri volumi che hanno raccolto la documentazione dei precedenti Simposi dell’Istituto Costanza Scelfo, saranno testi utili alla riflessione teologica e a quanti vorranno attingere acqua nuova per la trasmissione di una fede viva e attuale, in grado di parlare alle donne e agli uomini del nostro tempo che, nonostante tutto, ha bisogno di un messaggio di speranza e di comunione.

Galleria Fotografica – XII Colloquio

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