di Clara Aiosa
Introducendo la sua relazione, la prof. Cettina Militello dopo aver precisato che i termini carisma e istituzione non sono termini antagonistici, ma termini in tensione dialettica, ha offerto una interessante lettura del termine carisma. Il termine carisma, che ha la stessa radice del termine greco charis, si riferisce a una presenza di grazia, a una eccedenza di dono. In primo luogo il dono elargito nel carisma è il potere messianico di Cristo, che lo Spirito dà ai soggetti rendendoli capaci di mettere in circolo la forza potente dell’identità messianica. Il carisma è conformazione ed espressione della costitutiva imago Dei; dice perciò la chiamata all’alterità; tutti sono soggetti carismatici, anche la stessa convocazione ad essere chiesa rientra in questo orizzonte carismatico. Il carisma del singolo ha sempre una caratterizzazione partecipativa (si veda in questo senso il testo di Num 11, 29: Fossero tutti profeti nel popolo santo di Dio); il carisma è dono elargito per la crescita del corpo ecclesiale, esso comporta sempre una traduzione, un servizio, il principio ordinatore è l’amore e il bene del tutto. In questo senso, nella proposta ecclesiologica della Militello, i carismi rappresentano gli elementi strutturali di ogni chiesa.
La ricognizione del termine nel Nuovo Testamento, soprattutto in 1 Cor 12,4-6, ha messo in evidenza la dimensione trinitaria del carisma che la Militello ha ricondotto alla operatività del Padre, alla diakonia del Figlio e all’esuberanza dello Spirito, come anche la sua riduzione sociologica (nelle lettere pastorali) e la sua riduzione escatologica (negli scritti giovannei)
Recuperato dal concilio Vaticano II, perché per troppi secoli è stato considerato una realtà straordinaria, legata alla contestualità della chiesa nascente, è necessario pensare al carisma come a una realtà teologica. Sulla scia di LG 12, infatti, il carisma caratterizza ciascuno nel popolo di Dio. Il raccordo tra carisma e istituzione si ha nella sintassi sacramentale. Il carisma fondamentale appartiene alla sintassi sacramentale perché l’atto ecclesiogenetico è l’eucaristia.
Chiaramente questa lettura vale all’interno di ciascuna chiesa che è corpo di Cristo, sposa di Cristo, mistero-sacramento. In questo senso occorre interrogarsi sul nome proprio di una Chiesa. Nella comunione delle Chiese, secondo il modello proposto da Tillard, Chiesa di Chiese, ogni chiesa ha un nome proprio, che va al di là dell’aspetto amministrativo- gerarchico.
Ma è bene ricordarlo, afferma la relatrice, senza il concilio, il recupero del volto ministeriale della chiesa non sarebbe stato possibile; anzi, è necessario considerare lo stesso concilio come dono che lo Spirito ha offerto alla Chiesa. In un crescendo di emotività, la professoressa Militello, ha invitato le chiese a riconoscersi e a dirsi le une alle altre il nome proprio, a superare una cattolicità monolitica, e a pensare che le chiese costituiscono la comunione cattolica. La dialettica carisma- istituzione può trovare soluzione se si prende coscienza che l’istituzione uccide nel momento in cui non si riconosce che lo Spirito, quale soggetto strutturante la Chiesa, è presente anche nel suo tratto istituzionale. Non si può opporre carisma e istituzione, peraltro, nella ritualità celebrativo-rituale, questa dialettica si rompe. Da questo punto di vita il programma ecclesiologico è vasto; si può lasciare il dono del Vaticano II, come qualcosa di morto, o prendere coscienza che lo Spirito è passato e passa ancora oggi, si può ignorare il concilio o invece accettare che, dopo di esso, niente può essere più come prima. L’invito perciò è quello di assumere il Vaticano II come manifestazione dello Spirito per il nostro tempo, segno di una chiesa che non cessa mai di essere carismatica. Dopo il Vaticano II, la sfida è di non spegnere lo Spirito!